venerdì 26 febbraio 2021
sabato 20 febbraio 2021
Francesco e Giacinta Marto, i santi bambini di Fatima: modelli per tutti noi
“Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” Mt 5,8
Uno dei divertimenti preferiti da Francesco,
Giacinta e Lucia era quello di gridare ad alta voce, dall’alto dei monti,
seduti sulla roccia. Il nome che più echeggiava era quello della Madonna. A
volte Giacinta recitava tutta l’Ave Maria, pronunciando la parola seguente
soltanto quando l’eco riproduceva per intero quella precedente. Tale
innocentissima preghiera di bambina, quasi surreale, dove il soprannaturale si
sovrapponeva al naturale, doveva essere di sublime bellezza. Ebbene, la Madonna
scelse proprio lei, suo fratello e la cugina per rivelare a Fatima, nel 1917, i
rimedi che l’umanità e la Chiesa avrebbero dovuto mettere in atto per combattere
errori e guerre: la recita del Santo Rosario, la lotta contro il peccato, la
consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria. Proprio grazie
alle Memorie di suor Lucia, scritte in obbedienza alle richieste del
vescovo di Leiria (monsignor José Alves Correia da Silva), conosciamo molti
particolari della vita dei santi Giacinta e Francesco. Il loro esempio ricorda al mondo e alla stessa Chiesa la realtà delle cose ultime, i
Novissimi (Morte, Giudizio, Inferno, Paradiso), centrali nel messaggio lasciato
dalla Madonna a Fatima e fondamentali per comprendere la battaglia spirituale
che oggi si compie, in vista dell’eternità.
I particolari della breve
e luminosa vita di questi bambini ci fanno riflettere molto proprio sul senso
stesso della vita cristiana, ossia una vita che ci viene donata per conoscere,
lodare e ringraziare Dio partecipando ognuno con il suo piccolo contributo al
perenne sacrificio compiuto da nostro Signore per la Redenzione. Allora capiamo
che non importa la lunghezza, che basta anche una vita brevissima per rimanere
eterni. Questo ci insegnano i Santi e soprattutto i santi bambini e giovani.
Nessuna paura della morte se dopo viene l’atteso incontro con Lui, Gesù,
l’Amato. Francesco e Giacinta sono esattamente così, pieni di amore per Gesù e
Maria, cuori puri e semplici, umili e devoti, capaci di commuoversi davanti a
Dio.
Giacinta ricevette l’educazione
cattolica in famiglia. Un giorno conobbe da Lucia, di tre anni più grande di
lei e avanti nella dottrina, la storia della Passione di Nostro Signore.
Giacinta si commosse fino a piangere. Più volte, in seguito, se la fece
raccontare di nuovo, e diceva: «Povero Gesù! Io non farò nessun peccato! Non
voglio che il Signore soffra di più!».
Le tre apparizioni
dell’Angelo protettore del Portogallo, nel 1916, prepararono la via alla
Madonna, istruendo i pastorelli sulla necessità di offrire atti di adorazione,
preghiere e sacrifici, in riparazione ai peccati commessi contro la Santissima
Trinità, e in particolare per l’indifferenza e i sacrilegi con cui è offeso
Gesù nell’Eucaristia. Durante la terza apparizione, il messo celeste, con i tre
in ginocchio, comunicò Lucia dandole «la sacra Ostia, e divise il Sangue del
calice tra Giacinta e Francesco dicendo nello stesso tempo: “Prendete e bevete
il Corpo e Sangue di Gesù Cristo, orribilmente oltraggiato dagli uomini
ingrati. Riparate i loro crimini e consolate il vostro Dio”».
L’Angelo, che portò l’Eucaristia e
li comunicò, per tre volte pregò: «Mio Dio! Io credo, adoro, spero e Vi amo. Vi
chiedo perdono per quelli che non credono, non adorano, non sperano e non Vi
amano». Poi disse: «Pregate così. I Cuori di Gesù e di Maria stanno attenti
alla voce delle vostre suppliche». Già a sei anni,
dunque, Giacinta seppe di essere chiamata a collaborare alla salvezza delle
anime, fu introdotta alla conoscenza del valore redentivo del sacrificio e,
sempre insieme a Francesco e Lucia, fu poi confermata in questo insegnamento
fin dalla prima apparizione della Madonna, il 13 maggio 1917. Fin da allora la
Beata Vergine disse ai tre che sarebbero andati in Cielo, nominò il Purgatorio,
e chiese la loro disponibilità al progetto divino: «Volete offrirvi a Dio per
sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà inviarvi, in atto di riparazione
per i peccati da cui Lui è offeso e di supplica per la conversione dei
peccatori?». «Sì, lo vogliamo», fu la risposta. In questa sua mirabile, prima,
catechesi, Maria Santissima, aprendo le mani, partecipò ai bambini un anticipo
dei beni eterni che si sarebbero meritati, «comunicandoci una luce così
intensa, una specie di riflesso che da esse usciva e ci penetrava nel petto e
nel più intimo dell’anima, facendoci vedere noi stessi in Dio, che era quella
luce, più chiaramente di come ci vediamo nel migliore degli specchi». Era la
grazia che li avrebbe sostenuti nelle sofferenze.
A quell’assaggio di Paradiso seguì, due
mesi più tardi, nell’apparizione del 13 luglio, la visione dell’Inferno. «La
Madonna ci mostrò un grande mare di fuoco, che sembrava stare sotto terra.
Immersi in quel fuoco, i demoni e le anime, come se fossero braci trasparenti e
nere o bronzee, con forma umana che fluttuavano nell’incendio, […] tra grida e
gemiti di dolore e disperazione […]. La visione durò un momento. La Madonna
parlò quindi loro della volontà divina di «stabilire nel mondo la devozione al
Mio Cuore Immacolato. Se faranno quel che vi dirò, molte anime si salveranno e
avranno pace». Cosa fosse la realtà dell’Inferno colpì, anche più degli altri
due veggenti, Giacinta. «Quanta compassione sento per i peccatori! Se potessi
mostrar loro l’Inferno!», era una delle frasi che diceva meditando sul fatto
che molti smetterebbero di peccare se conoscessero quale eternità attende chi,
fino all’ultimo istante terreno, rifiuta Dio. Per la sua profonda pietà verso i
peccatori, andò quindi intensificando le penitenze e gli atti di accettazione
delle croci che via via si presentarono nella sua vita. Divenne «insaziabile
nella pratica del sacrificio» e se ne inventava sempre di nuovi. Parlando di
Gesù e Maria, disse che «mi piace tanto soffrire per Loro amore» e aggiunse:
«Essi amano molto chi soffre per convertire i peccatori».
Francesco,
dal carattere mite, umile e paziente, era adornato di una profondissima
contemplazione e di
un’eccezionale pietà verso il Signore. Aveva visto la tristezza sul volto della
Madonna, quando Lei aveva chiesto che i peccatori non offendessero più Dio.
Sulla strada verso scuola si fermava spesso in chiesa a contemplare il
tabernacolo. «Io resto qui in chiesa, vicino a Gesù nascosto. Per me non vale
la pena imparare a leggere, fra poco vado in Cielo!” Allora si metteva vicino al Tabernacolo e,
interrogato su cosa facesse tutte quelle ore, egli affermava: «Io guardo Lui e
Lui guarda me». Ricordando la promessa di Maria Vergine, della
quale aveva sempre un’immensa nostalgia, di portarlo presto in Cielo con
Giacinta, gioiva dicendo: «lassù almeno potrò meglio consolare il Cuore di Gesù
e di Nostra Signora». L’epidemia
di Spagnola lo colpì nel dicembre 1918, ma per mesi offrì lietamente le sue
sofferenze, unendole a quelle di Cristo, con lo sguardo sempre rivolto ai beni
celesti. Prima dell’ultimo respiro terreno, con un sorriso angelico sul volto,
disse alla madre: «Guarda, mamma, che bella luce là, vicino alla porta!».
Agli
inizi del mese di luglio del 1919 Giacinta entrò in ospedale, anche lei colpita
dalla «Spagnola». Sua madre le chiese che cosa desiderasse e la piccola chiese
la presenza dell’amata Lucia. La visita fu tutto un parlare delle sofferenze
offerte per i peccatori al fine di allontanarli dall’Inferno, per il Sommo
Pontefice e la devozione al Cuore Immacolato di Maria. Dovette soffrire molto in ospedale la piccola
Giacinta, persino un intervento chirurgico senza anestesia, eppure qualsiasi
sofferenza fu offerta per la conversione dei peccatori è sempre accompagnata da
un amore che si riscontra solo nei più grandi mistici.
La
Chiesa ha meditato molto prima di elevarli alla gloria degli altari, perché
fior di teologi cercavano di mettersi d’accordo su una questione non di poco
conto: se cioè a 10 anni non ancora compiuti le virtù possono essere vissute in
grado eroico, come è appunto richiesto ad ogni cristiano che viene proposto
alla venerazione dei fedeli come beato o santo. Alla fine ogni dubbio si è
sciolto, anche perché il buon Dio ha messo più di una firma (i miracoli,
richiesti per portare qualcuno “sugli altari”) sulla santità di questi bambini.
Non dunque per aver avuto sei apparizioni della Madonna, ma perché queste li hanno
aiutati a raggiungere la perfezione cristiana. Lo spirito di
sacrificio di Giacinta e Francesco, il loro ardore per le anime nacquero quindi
dalla conoscenza delle realtà ultime – del Regno di Dio e di quello di
Satana – non certo dalla loro ignoranza, che diversamente avrebbe impedito il
manifestarsi della sua eccelsa santità. La loro santità ricorda al mondo, e
alla stessa Chiesa, la necessità di parlare dei Novissimi. Anche Benedetto XVI, pensando a un colloquio avuto con
suor Lucia, ricordò che «mi ha detto che le appariva sempre più chiaramente
come lo scopo di tutte le apparizioni sia stato quello di far crescere sempre
più nella fede, nella speranza e nella carità». Le tre virtù teologali che
hanno condotto Giacinta e Francesco a essere strumento di salvezza per
innumerevoli anime, facendoli risplendere nella gloria di Dio.
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