sabato 20 febbraio 2021

Francesco e Giacinta Marto, i santi bambini di Fatima: modelli per tutti noi

 “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” Mt 5,8

 

         Uno dei divertimenti preferiti da Francesco, Giacinta e Lucia era quello di gridare ad alta voce, dall’alto dei monti, seduti sulla roccia. Il nome che più echeggiava era quello della Madonna. A volte Giacinta recitava tutta l’Ave Maria, pronunciando la parola seguente soltanto quando l’eco riproduceva per intero quella precedente. Tale innocentissima preghiera di bambina, quasi surreale, dove il soprannaturale si sovrapponeva al naturale, doveva essere di sublime bellezza. Ebbene, la Madonna scelse proprio lei, suo fratello e la cugina per rivelare a Fatima, nel 1917, i rimedi che l’umanità e la Chiesa avrebbero dovuto mettere in atto per combattere errori e guerre: la recita del Santo Rosario, la lotta contro il peccato, la consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria. Proprio grazie alle Memorie di suor Lucia, scritte in obbedienza alle richieste del vescovo di Leiria (monsignor José Alves Correia da Silva), conosciamo molti particolari della vita dei santi Giacinta e Francesco. Il loro esempio ricorda al mondo e alla stessa Chiesa la realtà delle cose ultime, i Novissimi (Morte, Giudizio, Inferno, Paradiso), centrali nel messaggio lasciato dalla Madonna a Fatima e fondamentali per comprendere la battaglia spirituale che oggi si compie, in vista dell’eternità.

            I particolari della breve e luminosa vita di questi bambini ci fanno riflettere molto proprio sul senso stesso della vita cristiana, ossia una vita che ci viene donata per conoscere, lodare e ringraziare Dio partecipando ognuno con il suo piccolo contributo al perenne sacrificio compiuto da nostro Signore per la Redenzione. Allora capiamo che non importa la lunghezza, che basta anche una vita brevissima per rimanere eterni. Questo ci insegnano i Santi e soprattutto i santi bambini e giovani. Nessuna paura della morte se dopo viene l’atteso incontro con Lui, Gesù, l’Amato. Francesco e Giacinta sono esattamente così, pieni di amore per Gesù e Maria, cuori puri e semplici, umili e devoti, capaci di commuoversi davanti a Dio.

            Giacinta ricevette l’educazione cattolica in famiglia. Un giorno conobbe da Lucia, di tre anni più grande di lei e avanti nella dottrina, la storia della Passione di Nostro Signore. Giacinta si commosse fino a piangere. Più volte, in seguito, se la fece raccontare di nuovo, e diceva: «Povero Gesù! Io non farò nessun peccato! Non voglio che il Signore soffra di più!».

            Le tre apparizioni dell’Angelo protettore del Portogallo, nel 1916, prepararono la via alla Madonna, istruendo i pastorelli sulla necessità di offrire atti di adorazione, preghiere e sacrifici, in riparazione ai peccati commessi contro la Santissima Trinità, e in particolare per l’indifferenza e i sacrilegi con cui è offeso Gesù nell’Eucaristia. Durante la terza apparizione, il messo celeste, con i tre in ginocchio, comunicò Lucia dandole «la sacra Ostia, e divise il Sangue del calice tra Giacinta e Francesco dicendo nello stesso tempo: “Prendete e bevete il Corpo e Sangue di Gesù Cristo, orribilmente oltraggiato dagli uomini ingrati. Riparate i loro crimini e consolate il vostro Dio”».

            L’Angelo, che portò l’Eucaristia e li comunicò, per tre volte pregò: «Mio Dio! Io credo, adoro, spero e Vi amo. Vi chiedo perdono per quelli che non credono, non adorano, non sperano e non Vi amano». Poi disse: «Pregate così. I Cuori di Gesù e di Maria stanno attenti alla voce delle vostre suppliche». Già a sei anni, dunque, Giacinta seppe di essere chiamata a collaborare alla salvezza delle anime, fu introdotta alla conoscenza del valore redentivo del sacrificio e, sempre insieme a Francesco e Lucia, fu poi confermata in questo insegnamento fin dalla prima apparizione della Madonna, il 13 maggio 1917. Fin da allora la Beata Vergine disse ai tre che sarebbero andati in Cielo, nominò il Purgatorio, e chiese la loro disponibilità al progetto divino: «Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà inviarvi, in atto di riparazione per i peccati da cui Lui è offeso e di supplica per la conversione dei peccatori?». «Sì, lo vogliamo», fu la risposta. In questa sua mirabile, prima, catechesi, Maria Santissima, aprendo le mani, partecipò ai bambini un anticipo dei beni eterni che si sarebbero meritati, «comunicandoci una luce così intensa, una specie di riflesso che da esse usciva e ci penetrava nel petto e nel più intimo dell’anima, facendoci vedere noi stessi in Dio, che era quella luce, più chiaramente di come ci vediamo nel migliore degli specchi». Era la grazia che li avrebbe sostenuti nelle sofferenze.

A quell’assaggio di Paradiso seguì, due mesi più tardi, nell’apparizione del 13 luglio, la visione dell’Inferno. «La Madonna ci mostrò un grande mare di fuoco, che sembrava stare sotto terra. Immersi in quel fuoco, i demoni e le anime, come se fossero braci trasparenti e nere o bronzee, con forma umana che fluttuavano nell’incendio, […] tra grida e gemiti di dolore e disperazione […]. La visione durò un momento. La Madonna parlò quindi loro della volontà divina di «stabilire nel mondo la devozione al Mio Cuore Immacolato. Se faranno quel che vi dirò, molte anime si salveranno e avranno pace». Cosa fosse la realtà dell’Inferno colpì, anche più degli altri due veggenti, Giacinta. «Quanta compassione sento per i peccatori! Se potessi mostrar loro l’Inferno!», era una delle frasi che diceva meditando sul fatto che molti smetterebbero di peccare se conoscessero quale eternità attende chi, fino all’ultimo istante terreno, rifiuta Dio. Per la sua profonda pietà verso i peccatori, andò quindi intensificando le penitenze e gli atti di accettazione delle croci che via via si presentarono nella sua vita. Divenne «insaziabile nella pratica del sacrificio» e se ne inventava sempre di nuovi. Parlando di Gesù e Maria, disse che «mi piace tanto soffrire per Loro amore» e aggiunse: «Essi amano molto chi soffre per convertire i peccatori».

            Francesco, dal carattere mite, umile e paziente, era adornato di una profondissima contemplazione e di un’eccezionale pietà verso il Signore. Aveva visto la tristezza sul volto della Madonna, quando Lei aveva chiesto che i peccatori non offendessero più Dio. Sulla strada verso scuola si fermava spesso in chiesa a contemplare il tabernacolo. «Io resto qui in chiesa, vicino a Gesù nascosto. Per me non vale la pena imparare a leggere, fra poco vado in Cielo!” Allora si metteva vicino al Tabernacolo e, interrogato su cosa facesse tutte quelle ore, egli affermava: «Io guardo Lui e Lui guarda me». Ricordando la promessa di Maria Vergine, della quale aveva sempre un’immensa nostalgia, di portarlo presto in Cielo con Giacinta, gioiva dicendo: «lassù almeno potrò meglio consolare il Cuore di Gesù e di Nostra Signora». L’epidemia di Spagnola lo colpì nel dicembre 1918, ma per mesi offrì lietamente le sue sofferenze, unendole a quelle di Cristo, con lo sguardo sempre rivolto ai beni celesti. Prima dell’ultimo respiro terreno, con un sorriso angelico sul volto, disse alla madre: «Guarda, mamma, che bella luce là, vicino alla porta!».

            Agli inizi del mese di luglio del 1919 Giacinta entrò in ospedale, anche lei colpita dalla «Spagnola». Sua madre le chiese che cosa desiderasse e la piccola chiese la presenza dell’amata Lucia. La visita fu tutto un parlare delle sofferenze offerte per i peccatori al fine di allontanarli dall’Inferno, per il Sommo Pontefice e la devozione al Cuore Immacolato di Maria.  Dovette soffrire molto in ospedale la piccola Giacinta, persino un intervento chirurgico senza anestesia, eppure qualsiasi sofferenza fu offerta per la conversione dei peccatori è sempre accompagnata da un amore che si riscontra solo nei più grandi mistici.

            La Chiesa ha meditato molto prima di elevarli alla gloria degli altari, perché fior di teologi cercavano di mettersi d’accordo su una questione non di poco conto: se cioè a 10 anni non ancora compiuti le virtù possono essere vissute in grado eroico, come è appunto richiesto ad ogni cristiano che viene proposto alla venerazione dei fedeli come beato o santo. Alla fine ogni dubbio si è sciolto, anche perché il buon Dio ha messo più di una firma (i miracoli, richiesti per portare qualcuno “sugli altari”) sulla santità di questi bambini. Non dunque per aver avuto sei apparizioni della Madonna, ma perché queste li hanno aiutati a raggiungere la perfezione cristiana. Lo spirito di sacrificio di Giacinta e Francesco, il loro ardore per le anime nacquero quindi dalla conoscenza delle realtà ultime – del Regno di Dio e di quello di Satana – non certo dalla loro ignoranza, che diversamente avrebbe impedito il manifestarsi della sua eccelsa santità. La loro santità ricorda al mondo, e alla stessa Chiesa, la necessità di parlare dei Novissimi. Anche Benedetto XVI, pensando a un colloquio avuto con suor Lucia, ricordò che «mi ha detto che le appariva sempre più chiaramente come lo scopo di tutte le apparizioni sia stato quello di far crescere sempre più nella fede, nella speranza e nella carità». Le tre virtù teologali che hanno condotto Giacinta e Francesco a essere strumento di salvezza per innumerevoli anime, facendoli risplendere nella gloria di Dio.

Edira Merlika



 

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