Il nostro gruppo giovani e
diciottenni, durante il percorso di quest’anno si è concentrato sulla figura di
padre Pino Puglisi, analizzando alcuni capitoli del libro “Ciò che inferno non
è” (di A. D’Avenia) e integrandoli con preghiere e riflessioni: l’ultima tappa
è stata per noi raggiungere proprio Palermo il 6 agosto, visitando i luoghi che
maggiormente la caratterizzano ma soprattutto trascorrendo 3 giorni con i
bambini del Centro “Padre Nostro” di Brancaccio, oratorio fondato dallo stesso
Puglisi.
Arrivati abbiamo subito
visitato lo stupendo Duomo di Monreale con i suoi caratteristici mosaici che ne
fanno uno dei più conosciuti e apprezzati al mondo: a catturare subito la
nostra attenzione è il mosaico ritraente Cristo Pantocratore, che si trova nell'abside centrale di questo capolavoro medievale, intreccio di cultura
bizantina, romanica ed islamica.
Abbiamo poi visitato Piazza
Pretoria, collocata in prossimità dei Quattro Canti, intersezione delle due vie
principali di Palermo; la magnifica Cattedrale di Palermo, che ospita le
spoglie di Beato don Pino, e anche il Palazzo dei Normanni con la sua maestosa
Cappella Palatina.
Abbiamo anche colto
l’occasione per ascoltare due testimonianze significative, una di un volontario
della Caritas di Palermo che ci ha spiegato che servizio offre al territorio e
le iniziative organizzate. La seconda invece, c’è stata offerta da una signora,
che ci ha riportato alla memoria la storia della lotta contro la mafia di
Borsellino (e non solo). Questa testimonianza è avvenuta in un luogo particolare, nell'ex farmacia che un tempo apparteneva alla famiglia Borsellino e che ora è
diventata “la casa di Paolo”, un centro aperto a tutti, e in particolare ai più
piccoli, in cui si cercherà di far conoscere la figura del magistrato e di
tutti coloro che si sono mossi contro la malavita organizzata grazie all'integrazione di diverse attività.
Abbiamo poi trascorso una giornata
insieme ai giovani di Ispra e Angera alla Valle dei Templi di Agrigento concludendo
insieme il pomeriggio al mare!
La parte più intensa della
vacanza però sono stati i tre giorni che abbiamo vissuto a Brancaccio al Centro
“Padre Nostro” collocato nella periferia palermitana dove “3P” (come a don Pino
piaceva farsi chiamare) trascorse la sua
gioventù (era nato proprio lì infatti) e dove il cardinale Pappalardo gli
propose di tornare come parroco, proprio nella chiesa di San Gaetano. Molti
sacerdoti chiamati ad operare in quella parte di città così desolata e sotto il
rigido controllo dei malavitosi rinunciarono all'incarico: chi intimorito, chi
perché non intravedeva un futuro. Nessuno prese mai una posizione; padre Pino
invece, pur cosciente della gravità della situazione, accettò e iniziò dai più
piccoli, togliendoli dalla strada: in quegli anni la mafia aveva grande controllo
e i bambini delle famiglie più povere venivano usati, lasciati nella piena
ignoranza, ignoranza verso un’educazione, ignoranza verso relazioni oneste,
ignoranza verso l’amore. Conoscevano solo le regole della strada, del più forte
che doveva prevalere e che poteva andare a testa alta, e anche del “parrino
sbirro”: solo che con don Pino parecchie dinamiche mutarono. Insegnava loro che
la vita valeva solo se donata, tentava ogni giorno di toglierli dalla strada,
dalle mani della mafia; provò a riparare tutte quelle esistenze segnate dal
male, cercò di far capire loro che la vita che finora stavano assaggiando non
era vita, ma resti di vite (altrui), carcasse. Don Pino dava a tutti una
possibilità concreta: i suoi non rimanevano slogan da dire durante le omelie,
il suo operato si manifestava quotidianamente, stando a stretto contatto con le
persone messe più emarginate. Era ormai diventato pericoloso perchè si portava
i bambini CON lui e non A lui, presentava loro una vita Vera. Aveva capito che per
far rifiorire il campo deserto in cui si trovava, doveva partire dai chicchi,
che avevano tantissimo da dare, ma che ancora non lo sapevano.
Il Centro in cui abbiamo fatto
da animatori è un oratorio che nasce come luogo di accoglienza e di promozione
umana: l’obbiettivo primo di don Pino infatti era quello di offrire ai bambini
un aiuto concreto, di valorizzarli, dando loro un’istruzione ed educandoli al
Vangelo, anche grazie al gioco e ad attività d’integrazione. Abbiamo conosciuto
tanti bambini, abbiamo parlato con tanti di loro e la cosa che più mi ha
colpito è che ognuno aveva una storia da raccontare e in maniera diversa hanno
tutti deciso di farci partecipi: chi con un pallone tra i piedi, chi con un
balletto, chi con un buffetto, chi con un sorriso. Anche i più silenziosi,
anche i più difficili da controllare che saltavano da una parte all’altra… i
ringraziamenti sono arrivati attraverso gesti sinceri a tratti sottilissimi ma
che custodivano un Bene enorme.
Rifletto sulla figura di don
Pino, su come la Provvidenza, il destino o semplicemente la Fede (sarebbe
piuttosto riduttivo chiamarlo “caso”) l’abbiano ricollocato dove tutto è
iniziato. E’ riuscito a vedere che c’era qualcosa di più che semplici oggetti
in mano alla mafia; vedeva il male che stava logorando tutto ciò che trovava
sulla propria strada, lampante ma allo stesso tempo invisibile, e ha capito che
per distruggerlo bisognava scardinarlo da dentro, scoprire quello che lo
alimentava. La figura di padre Puglisi ci ha anche insegnato a decifrare ciò
che durante la nostra quotidianità alimenta l’inferno in cui a volte ci
sentiamo, ed è il primo passo per combatterlo, trovare la propria vocazione,
prendere coscienza che siamo chiamati ad amare e che si tratta di una
responsabilità grande, come grande è il paradiso che possiamo trovare negli
altri, con Dio.
Andare a Brancaccio è servito
tanto anche a noi che siamo sempre circondati da tanta “comodità”; abbiamo
potuto toccare con mano cosa significhi vivere tra la polvere e il disagio. Per
scoprire cos’è la felicità si ha bisogno di qualcuno che ci inviti a farlo,
perché se nessuno ti dice che esiste, il rischio è non riuscire a coglierla.
Noi che abbiamo deciso di fare un’esperienza simile siamo frutto di una serie
di attenzioni, conoscenze, esperienze vissute, cadute, parole, opportunità
mischiate, anche ad un po’ fortuna: siamo il risultato di tutto ciò, e questo
grazie al fatto che siamo nati nel nostro piccolo paese tranquillo e non a
Brancaccio. Tutto ciò che ho vissuto, tutte le risorse che mi sono state
offerte hanno influenzato il mio operato, il mio essere, come avranno
influenzato quello di quei bambini con cui abbiamo avuto a che fare in quei 3
giorni. Siamo stati testimoni di speranza verso un’umanità ferita, abbiamo provato
a nostro modo a ricucirne un pezzetto come tanti giovani volontari che abbiamo
conosciuto lì, anche loro desiderosi di offrire opportunità a ragazzi che non
sono stati così fortunati, ed è questa la cosa che maggiormente mi ha colpito:
non eravamo soli, c’erano altri ragazzi di altri oratori, organizzazioni,
scout, provenienti da diverse località italiane che avevano il nostro stesso
obbiettivo. Proprio a tal proposito don Pino diceva: “Noi vogliamo rimboccarci
le maniche e costruire qualche cosa. E se ognuno fa qualcosa, allora si può
fare molto.”
Don Pino venne freddato con un
colpo di pistola alla nuca il 15 settembre 1993, giorno del suo compleanno dopo
soli tre anni di servizio a Brancaccio.
Pietro
D’Angelo
Il titolo del libro che ci ha
accompagnato quest’anno, scritto da D’Avenia, proviene dalle parole del famoso
scrittore Italo Calvino che dicevano così: “L’inferno dei viventi non è
qualcosa che sarà; se ce n’è uno è quello che è già qui. Due modi ci sono per
non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne
parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige
attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che
cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno e farlo durare e dargli spazio”.
Padre Pino ha provato per
tutta la sua vita a scovare un po’ di paradiso dove tutti pensavano ci fosse
solo un’immobile inferno, dava spazio alle persone che incontrava sul suo
Cammino e voleva costruire insieme qualcosa di grande, qualcosa per il quale
valesse la pena Amare.